Diritto d’autore nella musica (2° parte): requisiti della tutela del diritto d’autore, oggetto e soggetti
Nella prima parte di questo articolo sul diritto d’autore nella musica ho spiegato che la tutela del diritto d’autore nasce senza bisogno di alcuna registrazione o fissazione. Ciò che è richiesto è che l’opera venga espressa, anche soltanto cantata. E’ sufficiente che da mera idea si trasformi in espressione.
Ciò non significa che qualsiasi melodia canticchiata diventerà automaticamente oggetto di tutela del diritto d’autore. A tal fine sono infatti necessari alcuni requisiti.
I requisiti di tutela del diritto d’autore
Il carattere creativo
Il già citato art. 1 l.d.a. attribuisce la tutela del diritto d’autore alle opere dell’ingegno di “carattere creativo”.
Ma cosa si intende per creatività? Per la giurisprudenza italiana, creatività significa “personale ed individuale espressione di un’opera“[1]. La medesima giurisprudenza aggiunge che, per ottenere la tutela del diritto d’autore, un minimo grado di creatività è sufficiente. La creatività non può escludersi soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone competenti nella materia. In parole povere: non è richiesta la creazione di un capolavoro.
A ben vedere, il concetto di creatività usato dalla giurisprudenza italiana coincide o comunque si avvicina molto (forse troppo) a quello di “originality” a cui si riferisce la giurisprudenza europea. Nel celebre caso Infopaq, la Corte di Giustizia ha stabilito che, per essere originale, l’opera deve rappresentare “il risultato della creazione intellettuale dell’autore“[2]. In sostanza, per ottenere la protezione autorale, un’opera deve contenere in sé l’espressione della personalità del suo autore.
Dunque creatività ed originalità sono la stessa cosa? A mio modesto parere la risposta è no. Originalità e creatività non sono sinonimi nella lingua italiana e non dovrebbero esserlo neppure in materia di diritto d’autore. Prima di fornire la mia interpretazione, dovrò però accennare anche ad un secondo requisito di tutela del diritto d’autore: la novità.
La novità (o creazione indipendente?)
Quando ho frequentato il corso CopyrightX della Harvard Law School, ho appreso che uno dei principi cardine nel diritto statunitense é il seguente: la novità non è un requisito! Questa differenza segna negli Stati Uniti una netta linea di confine fra patents (brevetti) e copyright (diritto d’autore).
Non nego una certa confusione quando, tornato al diritto d’autore italiano, nei manuali ed in giurisprudenza trovavo la novità quale requisito per la protezione autorale. In Italia, per novità si intende che un’opera non deve riprodurre in modo diretto o fortemente evocativo un’opera altrui.
Si tratta dunque di una delle differenze fra il sistema del copyright anglosassone e quello del diritto d’autore dell’Europa continentale? Oppure la differenza è soltanto linguistica e teorica?
Nel copyright statunitense, per essere protetta un’opera non deve essere nuova ma “independently created”. Ciò significa che l’opera non deve essere copiata ma deve essere il risultato di un’espressione individuale dell’autore. Attenzione, l’opera non può ritenersi una creazione indipendente neppure se l’autore, pur non sapendo di copiare, lo fa in maniera subconscia. Cosa significa in pratica? Se due musicisti, indipendentemente l’uno dall’altro e senza aver avuto accesso l’uno all’opera dell’altro, creano una identica composizione musicale, entrambi otterranno la tutela del diritto d’autore.
Si comprende come la differenza fra creazione indipendente e novità sia prevalentemente teorica. Infatti, delle due l’una: o un’opera è talmente banale da non raggiungere quel minimo grado di creatività richiesto; oppure l’opera successiva identica è una copia, consapevole o meno, dell’opera precedente.
L’originalità quale creazione indipendente e dotata di un minimo grado di creatività
Mi scuso per il taglio eccessivamente teorico dato ai precedenti paragrafi. I coraggiosi che non hanno già abbandonato la lettura, capiranno che ciò era necessario per fornire un’interpretazione più pratica. A mio modesto parere, la seguente interpretazione concilia in sé le varie teorie, subordinando la tutela del diritto d’autore ad un solo requisito: l’originalità.
Per essere protetta dal diritto d’autore, un’opera deve essere originale. Originale è l’opera che rappresenta il risultato della creazione individuale dell’autore. E’ originale l’opera che sia da quest’ultimo indipendentemente creata, che sia espressione della sua personalità e che contenga in sé un minimo grado di creatività.
Torniamo dunque dalla teoria alla pratica. Per ottenere protezione, una musica non deve essere copiata e non deve essere banale. Non è protetta dal diritto d’autore una melodia che riproduca la scala cromatica o una scala diatonica. Lo stesso vale per una combinazione di due note che si alternino, a meno che non sia accompagnata da un ritmo o da un’armonia che la caratterizzino. Non gode di protezione un reef di chitarra blues che sia ormai patrimonio comune di moltissimi brani e musicisti.
Detto ciò, non è necessario scrivere “Stairway to Heaven” per ottenere la tutela del diritto d’autore. Nessun Tribunale sarà mai chiamato a giudicare il valore artistico della nostra composizione. E’ sufficiente che il brano provenga da noi e che non sia estremamente banale.
Oggetto della tutela: melodia, armonia e ritmo
La musica è definita da tre elementi:
- la melodia, ovvero una sequenza di note disposte ritmicamente;
- l’armonia, ovvero la combinazione di due o più suoni simultanei che formano gli accordi;
- il ritmo, ovvero la distribuzione dei suoni nel tempo.
L’elemento che maggiormente caratterizza una musica è la melodia. Per tale ragione si dice che essa sia l’unica ad essere tutelabile di per sé, mentre il ritmo e l’armonia potrebbero essere protetti soltanto in relazione ad una melodia. Se ciò è vero nella maggior parte dei casi, escluderei che si tratti di una regola assoluta. Non vi è infatti ragione di non tutelare un’armonia complessa e particolare, specialmente se associata ad un ritmo, anche in assenza di una linea melodica. L’unico requisito a cui fare riferimento è nuovamente l’originalità, intesa come creazione indipendente e creativa, espressione della personalità dell’artista.
In base all’art. 2 l.d.a., sono tutelate:
- le opere e le composizioni musicali, con o senza parole;
- le opere drammatico-musicali (ovvero composte anche di elementi scenici);
- le variazioni musicali costituenti opera per sé originale.
Con riferimento a queste ultime, occorre introdurre il concetto di opere derivate per comprenderne il significato in termini di diritti d’autore.
Le variazioni musicali e le opere derivate
L’art. 2 l.d.a. fa riferimento a quelle variazioni musicali che costituiscono di per sé opera originale. Si tratta di un concetto comune alla musica classica, con cui un’idea musicale viene modificata con cambi e progressioni di toni, variazioni armoniche e melodiche, articolazioni del contrappunto, del ritmo, del timbro strumentale e della dinamica. Variazioni di questo tipo sono originali ed autonome. Ciò che prendono dall’opera originaria è soltanto l’idea, la quale viene però espressa in una forma totalmente nuova.
Nella musica moderna, queste variazioni sono meno comuni. Sono invece frequenti i c.d. “arrangiamenti”. Talvolta si tratta di elaborazioni minime, che si limitano a differenze riconducibili alle caratteristiche dell’artista esecutore. Altre volte siamo di fronte a vere e proprie elaborazioni musicali, che aggiungono al brano originale un diverso apporto creativo.
In quest’ultimo caso siamo dinanzi ad un’opera derivata, secondo quanto previsto dall’art. 4 l.d.a.: “[s]enza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa“. L’autore della elaborazione musicale, quando questa abbia carattere creativo, acquista il diritto d’autore sull’opera derivata. Ciò però avviene senza pregiudizio dei diritti appartenenti all’autore dell’opera originaria, il quale dovrà dare la propria autorizzazione all’elaborazione dell’opera ed al suo eventuale sfruttamento commerciale.
I soggetti del diritto d’autore
L’art. 6 l.d.a. afferma: “Il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale”. Come ho già spiegato nella prima parte del presente articolo sul diritto d’autore nella musica, ciò significa che esso nasce in capo all’autore nel momento della creazione dell’opera.
Titolare del diritto d’autore è dunque originariamente colui che crea l’opera. Per provare questa qualità, l’art. 8 l.d.a. prevede una presunzione di legge. “E’ reputato autore dell’opera, salvo prova contraria chi è in essa indicato come tale, nelle forme d’uso, ovvero è annunciato come tale, nella recitazione, esecuzione, rappresentazione e radiodiffusione dell’opera stessa“.
Chi crea un’opera originale ne diventa automaticamente autore. Aldilà della soddisfazione personale che ciò comporta, questa qualità può risultare inutile se non si riesce a provarla. Per farlo ci sono infiniti sistemi. In passato era uso spedirsi lo spartito con raccomandata senza busta. In tal modo si apponeva sul lavoro una marca temporale. Di conseguenza, le copie successive a quella data dovevano considerarsi violazioni. Oggi, nel mondo del digitale, se non si vuole ricorrere ai registri pubblici, ci sono svariati sistemi per apporre su un file una marca temporale. Ad esempio, l’invio può essere fatto a mezzo pec anziché con la classica raccomandata.
Se l’opera viene pubblicata, questi problemi non si pongono, poiché si presume autore fino a prova contraria colui che per primo pubblica un’opera a suo nome. Vale come comunicazione anche l’esecuzione di un brano in pubblico, a condizione che sia possibile reperire testimoni dell’evento.
Gli autori delle opere composte
Se gli autori sono più di uno, si applicano le norme sulla comunione e ciascun contributo si presume di uguale valore, salvo prova di un diverso accordo da dare per iscritto (art. 10 l.d.a.). In tali ipotesi, è necessario il consenso unanime per lo sfruttamento dell’opera. Tuttavia, in caso di ingiustificato rifiuto da parte di uno dei coautori, l’altro potrà ricorrere alla valutazione imparziale di un giudice.
Sono opere composte le canzoni che appunto si compongono di una parte musicale e di una parte letteraria. Se l’autore della musica è anche autore delle parole, nulla questio. Diversamente, se si tratta di due soggetti diversi, entrambi saranno coautori del brano nella misura del 50% , tuttavia l’esercizio dei diritti di sfruttamento economico spetterà soltanto all’autore della musica. Attenzione, l’esercizio dei diritti e non i diritti stessi. Ciò significa che le decisioni sullo sfruttamento dell’opera composta spetteranno al compositore della musica ma entrambi gli autori godranno dei proventi (art. 33 l.d.a.).
L’art. 35 l.d.a. precisa che l’autore del testo non potrà disporne per congiungerlo ad un’altra musica. A questo principio sono previste delle eccezioni nel caso in cui l’opera composta non venga adeguatamente sfruttata:
- quando il compositore a cui l’autore del testo lo ha consegnato non lo traduca in musica nel termine di 5 anni;
- quando l’opera compiuta non venga eseguita entro 5 anni;
- infine, quando trascorrano 10 anni dalla prima esecuzione senza che l’opera venga nuovamente eseguita.
In questi casi, l’autore della parte letteraria riacquista il diritto di sfruttare autonomamente il testo e di congiungerlo ad un’altra musica.
… nella prossima parte di questo lavoro dedicato al diritto d’autore nella musica, si parla di diritti morali dell’autore di un’opera musicale…
[1] Cass. 28/11/2011, n. 25173, in Foro it., 2012, I, 74.
[2] Corte UE 16/07/2009, C-5/08.
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