In un’opera musicale, un frammento poetico-letterario di una canzone che venga ripreso in un’altra non costituisce plagio se il frammento innestato nel nuovo testo non conserva l’identità del significato poetico-letterario, evidenziando invece, in modo chiaro e netto, uno scarto semantico rispetto all’opera anteriore[1].
Questo principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione all’esito di una vicenda giudiziaria protrattasi per quasi un ventennio, che ha visto coinvolti, da una parte, la BMG Ricordi S.p.a. e la MI.MO. Edizioni Musicali S.r.l., quali titolari dei diritti di utilizzazione della celebre canzone del 1969 “Zingara”, nonché gli autori Enrico Riccardi e Luigi Albertelli, e, dall’altra, il celebre cantautore Francesco De Gregori e la sua casa discografica Sony Music Entertainment S.p.a.
Nel 1996, De Gregori scrisse la canzone intitolata “Prendi questa mano zingara”, nel cui incipit utilizzava le parole “prendi questa mano zingara, dimmi pure che futuro avrò”. Il pezzo volutamente richiamava, con la minima variazione rappresentata dalla parola “futuro”, il celebre frammento della canzone eseguita da Iva Zanicchi: “prendi questa mano zingara, dimmi pure che destino avrò”.
Gli autori di “Zingara” convenivano in giudizio De Gregori e la sua casa discografica, sostenendo che la riproduzione anche di un singolo frammento, costituente il cuore dell’opera da loro realizzata, doveva ritenersi sufficiente a rappresentare un plagio. Secondo gli attori, il fatto che le parole originali fossero state minimamente modificate escludeva per il convenuto la possibilità di invocare il diritto di citazione, stante peraltro la mancanza di ogni menzione degli autori dell’opera originaria.
Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda degli attori. La sentenza veniva però ribaltata a favore di De Gregori dalla Corte d’Appello, la cui pronuncia è stata poi confermata dalla Corte di Cassazione con la decisione in commento, pur riformando in parte la motivazione adottata dai giudici di merito.
Prima di analizzare la decisione della Corte di Cassazione, occorre fare una breve premessa circa l’illecito di plagio. Sebbene la legge non fornisca una definizione, la dottrina identifica l’elemento caratteristico del plagio nell’usurpazione della paternità di un’opera. In sostanza, plagia colui che afferma di essere l’autore di un’opera altrui. Nella maggior parte dei casi, ciò avviene mediante la riproduzione, totale o, più spesso, parziale, di un’opera altrui all’interno di un’opera contraddistinta con il proprio nome[2].
Affinché possa configurarsi un plagio, occorre in primo luogo accertare se ciò che viene preso dall’opera originaria e riprodotto nell’opera plagiaria è tutelabile dal diritto d’autore e, cioè, se ha carattere creativo. La Corte di Cassazione ha espresso il principio secondo cui, affinché possa configurarsi un plagio, non è necessario che venga riprodotta l’intera opera od una parte sostanziale della stessa. Anche la riproduzione di un singolo frammento può essere sufficiente, quando questo costituisce il cuore dell’opera plagiata ed assume una valenza importante nell’opera plagiaria. Nel caso di specie, gli attori sostenevano il carattere creativo del frammento poetico preso da De Gregori, rappresentando come lo stesso costituisse il cuore dell’opera, l’incipit della canzone e la parte più famosa e facilmente ricordabile dal pubblico. Peraltro, tale frammento assumeva importanza notevole anche nella canzone di De Gregori, tanto da essere ripetuto più volte e da diventarne persino il titolo.
Queste argomentazioni, accolte in primo grado, venivano respinte dalla Corte d’Appello di Roma, la quale negava l’esistenza del plagio basandosi su quattro parametri:
a) la (modesta) variazione data ad una parte del testo riprodotto;
b) la completa diversità del testo letterario nella sua parte restante, dedotta la parte riprodotta;
c) la trattazione di tematiche completamente diverse da parte della nuova opera;
d) la totale diversità della parte musicale.
La Corte di Cassazioneha confermato la decisione della Corte d’Appello di Roma ma ne ha rivisto profondamente la motivazione.
Secondo gli Ermellini, la totale diversità della parte musicale è del tutto indifferente ad escludere l’esistenza del plagio. Si ha infatti violazione del diritto di autore anche nel caso in cui un’opera composta (nella specie da testo linguistico e musicale) divenga oggetto di indebita copiatura (totale o parziale) solo in una delle sue parti o componenti (si pensi al caso in cui un’opera musicale sia trasferita, pressoché integralmente, nel solo suo testo poetico-letterario, innestato su altra partitura musicale; ovvero al caso, forse più frequente, che un testo completamente diverso sia innestato su un identico o somigliante tema musicale).
Ciò che rileva, secondo la Corte di Cassazione, sono i parametri b) e c), ovvero la totale diversità della parte restante del testo letterario ed il diverso significato delle tematiche trattate, da considerarsi congiuntamente.
La Corte di Cassazione afferma dunque il principio in base al quale, in tema di plagio di un’opera musicale, un frammento poetico-letterario di una canzone che venga ripreso in un’altra non costituisce di per sè plagio, dovendosi accertare, da parte del giudice di merito, se il frammento innestato nel nuovo testo poetico-letterario abbia o meno conservato una identità di significato poetico-letterario ovvero abbia evidenziato, in modo chiaro e netto, uno scarto semantico rispetto a quello che ha avuto nell’opera anteriore.
Rifacendosi alle teorie estetiche, la Corte evidenzia come il discorso poetico parta dal dato linguistico per poi compiere su di esso uno scarto semantico, aggiungendo significati nuovi e spesso polisensi, che sono diversi da testo a testo e che si denotano sulla base del contesto in cui le frasi vengono inserite. Poiché il giudice del merito ha accertato la “trattazione di tematiche completamente diverse” da parte delle due opere a confronto, egli ha implicitamente affermato che l’innesto del frammento oggetto di causa nella seconda opera ha ricevuto un significato artistico del tutto diverso e pertanto non costituisce un plagio.
[1] Cassazione civile, sez. I, 19/02/2015, n. 3340.
[2] Barni Edoardo, Una sentenza storica: i principi relativi all’aspetto semantico della poesia possono escludere il plagio, in Diritto d’Autore (II), fasc.2, 2015, pag. 391.
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