L’uso di marchi rinomati di armi da fuoco, quali “Smith&Wesson M36”, “UZI SMG”, “Colt M16A1” etc., per contraddistinguere delle versioni “soft air” di tali armi costituisce una violazione dei diritti di privativa del titolare del marchio, poiché tale uso non può considerarsi avente funzione descrittiva del prodotto bensì distintiva[1].
Con sentenza del 20 maggio 2013, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di Bergamo, resa con sentenza del 26 maggio 2011[2]. Il Giudice del primo grado aveva dichiarato che l’attività di importazione, pubblicizzazione e commercializzazione da parte della convenuta di armi “soft air” identiche, sia nella forma che nel marchio, a noti modelli di armi da fuoco, costituisce una violazione dei diritti di privativa industriale dei titolari dei marchi, rispetto ai quali la parte attrice era licenziataria, anch’essa per la produzione di armi “soft air”.
Nel proprio atto di impugnazione alla sentenza di primo grado, la parte appellante ha sostenuto che l’uso dei segni relativi alle denominazioni delle armi “soft air” avrebbe portata descrittiva, finalizzata unicamente ad indicare che si tratta di riproduzioni di armi vere, in quanto sarebbe noto che i prodotti “soft air” non sono realizzati dalle medesime case produttrici di queste ultime. L’apposizione dei marchi di armi note sulle versioni “soft air” delle stesse non sarebbe dunque precluso, poiché non distintivo della loro provenienza dalle imprese di armi vere e conseguentemente inidoneo a generare confusione per i consumatori.
Respingendo la tesi dell’appellante, i giudici di primo e di secondo grado hanno ritenuto che i potenziali clienti non siano insensibili ed anzi siano attirati dall’accostamento dei prodotti “soft air” alle armi vere, ricercando in essi le medesime caratteristiche di qualità, affidabilità e rinomanza degli originali. Ciò viene giustificato dal fatto che le armi “soft air” non sono semplici giocattoli, né tantomeno modelli riproduttivi, ma vere e proprie armi funzionanti, sebbene dotate di minore capacità offensiva. E’ dunque probabile che la scelta del consumatore venga determinata dal riferimento ad una casa produttrice nota e dalla convinzione che questa eserciti un controllo sulla produzione delle armi che portano il proprio marchio, garantendone così le prestazioni e l’affidabilità.
Tale argomentazione viene rafforzata dal fatto che i marchi riprodotti siano marchi celebri, i quali godono di una tutela allargata anche ai prodotti non affini. Ciò giustificherebbe una violazione dei diritti sul marchio anche nel caso in cui le armi “soft air” venissero ritenute prodotti non affini rispetto alle armi da fuoco vere e proprie, comportando il rischio che il cliente possa percepire un collegamento fra gli articoli rappresentati ed il titolare del marchio celebre.
In base a tali considerazioni, l’uso dei marchi fatto dalla parte appellante non può considerarsi meramente descrittivo, bensì distintivo e dunque vietato in assenza dell’autorizzazione da parte dei titolari dei diritti di privativa.
Secondo i giudici del merito, ad essere vietata non è soltanto la riproduzione dei marchi registrati ma altresì l’imitazione delle forme caratteristiche delle armi da fuoco originali, sebbene queste non siano state registrate come marchi.
Secondo la parte appellante, la riproduzione di tali forme non sarebbe perseguibile come violazione del marchio di fatto o come comportamento di concorrenza sleale confusoria, dovendo le stesse trovare tutela come modelli ornamentali o come brevetti di utilità, secondo il principio per cui le forme brevettabili non sono tutelate come marchi.
La Corte d’appello di Milano ha rigettato anche tale argomentazione, ritenendo che il carattere individualizzante di dette forme non stia nelle esigenze strutturali o estetiche dei prodotti, le quali sono comuni a tutte le armi del genere (calcio, canna, caricatore) ma nella loro distintività. Non trattandosi di forme necessitate ma di forme che distinguono i singoli prodotti dal comune genere delle armi, la loro riproduzione non autorizzata viola i diritti di privativa del titolare.
[1] App. Milano, 20 maggio 2013, in GADI, 2014, 6097/1.
[2] Trib. Bergamo, 26 maggio 2011, n. 1473.
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