Diritto all’oblio: cos’è e come farlo valere verso i motori di ricerca
Il diritto all’oblio è stato definito dalla Corte di Cassazione come “giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato divulgata“[1].
Il tema del diritto all’oblio (o “right to be forgotten“) non è nuovo. La giurisprudenza italiana ha iniziato ad occuparsene sin dagli anni ’90, quando la diffusione di Internet ha accentuato i problemi legati alla tutela della riservatezza, dei dati personali e dell’identità personale in rete. Più di recente, si è tornati a parlare del diritto all’oblio con la discussa sentenza della Corte di Giustizia Europea nel caso Google Spain[2]. Infine, il nuovo Regolamento Europeo n. 2016/679 (GDPR), ha trasformato in norma cogente quanto riconosciuto dalla giurisprudenza.
Internet è un enorme archivio di informazioni, dove niente viene cancellato o dimenticato. Un soggetto che in passato ha commesso degli sbagli, che si sono tradotti in notizia di pubblico dominio, rischia di restarne pregiudicato per il resto della sua esistenza. Si pensi alla notizia di una condanna penale. A distanza di anni dall’accaduto, la sola digitazione del nome della persona sui motori di ricerca può riportare alla luce la notizia. Questa può pregiudicare la reputazione di un soggetto, che magari nel frattempo è stato prosciolto o comunque ha espiato il suo debito con la società.
Dall’altra parte il diritto all’oblio, se riconosciuto in qualsiasi circostanza ed a qualsiasi persona, rischia di entrare in contrasto con altri valori fondamentali: la libertà di espressione, il diritto di cronaca, il diritto del pubblico ad essere informati. Occorre dunque un bilanciamento fra gli interessi contrastanti in gioco, che non sempre è facile ed immediato. Porre sui motori di ricerca l’onere di decidere quali di essi deve soccombere è una scelta rischiosa.
Diritto all’oblio come diritto ad impedire la divulgazione di una notizia non più attuale
Un orientamento ormai consolidato riconosce il diritto di un soggetto a che una notizia per lui pregiudizievole non venga nuovamente divulgata a distanza di anni, quando ciò non sia più giustificato da un pubblico interesse.
La pubblicazione di una notizia di cronaca che riguardi un soggetto comporta un trattamento dei suoi dati personali. Tale trattamento è giustificato e reso lecito dall’esistenza di un interesse pubblico ad apprendere la notizia. Quando questo interesse sia venuto meno a causa del passare del tempo, la nuova divulgazione non è più giustificata ed è pertanto illegittima. Ciò però non vale quando, per qualsiasi ragione, la notizia torni ad essere di attualità e di pubblico interesse.
Un caso reale di questa applicazione del diritto all’oblio è il seguente.
Nel 1990 un quotidiano romano ha riportato nell’ambito di un gioco a premi la prima pagina del 6 Dicembre 1961, nella quale vi era la foto ed il nome di un individuo reo confesso di omicidio, che nel frattempo aveva espiato il proprio debito con la società. In quel caso, il Tribunale di Roma ha condannato il quotidiano per aver nuovamente divulgato una notizia estremamente pregiudizievole per l’individuo interessato senza che vi fosse un interesse pubblico, bensì per un mero motivo di gioco[3].
Diversamente, ipotizziamo che la notizia riguardasse la condanna per corruzione di un politico. In caso di una sua recente ricandidatura, la nuova divulgazione di questa notizia, anche a distanza di anni, risulterebbe con ogni probabilità giustificata dall’interesse pubblico.
Il diritto alla contestualizzazione della notizia
Un leading case nella giurisprudenza italiana concernente il diritto all’oblio è quello deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 5525 del 5 Aprile 2012.
Un politico era stato imputato di corruzione nel 1993 e successivamente assolto. La notizia dell’imputazione era stata riportata legittimamente dai quotidiani dell’epoca. Tuttavia, a distanza di anni, i motori di ricerca restituivano soltanto la notizia dell’imputazione senza associarvi anche quella dell’assoluzione. Per proteggere la sua reputazione, il politico chiese il blocco dei suoi dati personali riportati nell’archivio storico del quotidiano online.
Sia l’Autorità Garante che il Tribunale di Milano respinsero la richiesta. In quel caso, infatti, non vi era stata una ripubblicazione della notizia. Essa era semplicemente contenuta negli archivi storici del giornale e restituita dai motori di ricerca. Il diritto all’oblio non poteva però giungere sino ad ottenere la cancellazione della storia.
La Corte di Cassazione emanò una decisione fortemente innovativa, concentrando l’attenzione non sulla tutela dei dati personali, bensì sull’immagine della persona stessa in Internet. Non vi era dubbio sul fatto che la presenza della notizia negli archivi del giornale fosse legittima. Tuttavia, la notizia era decontestualizzata e riportava un’immagine del soggetto travisata, non veritiera e pregiudizievole.
La Corte di Cassazione non pretese dunque dal quotidiano la cancellazione dell’articolo, bensì la sua contestualizzazione. A coloro che visualizzavano la notizia dell’imputazione doveva apparire anche quella successiva dell’assoluzione, in modo da rendere un quadro veritiero, completo ed aggiornato.
Diritto all’oblio come diritto ad ottenere la de-indicizzazione dell’informazione dai motori di ricerca: il caso Google Spain
Nel noto e discusso caso Google Spain, la Corte di Giustizia Europea si è spinta ancora oltre nel tutelare il diritto all’oblio, fino ad imporre a Google la de-indicizzazione della notizia non più attuale dal motore di ricerca.
Nel 1998, al Sig. Costeja era stata pignorata l’abitazione in seguito ad esecuzione forzata per crediti previdenziali. Nel 2013, a distanza di 15 anni, la digitazione del nome del Sig. Costeja sui motori di ricerca faceva ancora apparire l’annuncio della vendita all’asta della sua abitazione. Egli si rivolse dunque al Garante spagnolo, chiedendo di ordinare al quotidiano la cancellazione della notizia ed a Google la rimozione dei link verso l’articolo.
Il Garante rigettò la richiesta di cancellazione della notizia nei confronti del quotidiano ma impose a Google la rimozione dei link e la de-indicizzazione dal motore di ricerca. Google impugnò la decisione dinanzi all’Audencia Nacional, che a sua volta sollevò un ricorso pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea.
La Corte di Giustizia riconobbe in capo al motore di ricerca il ruolo di titolare del trattamento dati. Conseguentemente, dinanzi alla richiesta del soggetto interessato di cessare il trattamento, e quindi di de-indicizzazare la notizia pregiudizievole che lo riguarda, il motore di ricerca deve acconsentire, a meno che non vi sia un pubblico interesse prevalente.
La notizia dunque non viene cancellata dagli archivi dei giornali. Viene però impedito ai motori di ricerca di scovarla e riportarla.
Le critiche alla sentenza Google Spain
“E’ un po’ come dire che un libro può stare in una biblioteca, ma non può essere incluso nel suo catalogo“, questa la risposta alla sentenza del responsabile legale di Google.
I problemi che questa sentenza solleva sono molti. Quando esiste il pubblico interesse a che una notizia venga riportata dai motori di ricerca e quando esso prevale sul diritto all’oblio del soggetto interessato? Ogni singolo caso richiede di effettuare un delicato bilanciamento fra gli interessi contrapposti in gioco. Imporre ai motori di ricerca una valutazione discrezionale di questo tipo è estremamente rischioso per la neutralità di Internet. Nel dubbio e nel timore di sanzioni, i motori di ricerca potrebbero accogliere richieste di de-indicizzazione illegittime. Il diritto all’oblio rischia dunque di trasformarsi in un diritto alla censura e di compromettere la circolazione delle informazioni su Internet.
Il diritto all’oblio nel GDPR
L’art. 17 del Reg. UE 2016/679 disciplina espressamente il diritto alla cancellazione dei dati personali, definito anche come diritto all’oblio.
Esso riporta una serie di casi in cui l’interessato ha diritto alla cancellazione, che il titolare del trattamento deve obbligatoriamente concedere “senza ingiustificato ritardo”. Ad esempio, quando i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati.
Il GDPR non riconosce però questo diritto incondizionatamente. Esso si preoccupa di effettuare un bilanciamento con altri valori, quali la libertà di espressione e di informazione o i fini di archiviazione nel pubblico interesse. In sostanza, niente cambia rispetto al quadro già delineato dalla giurisprudenza.
Conclusioni
In conclusione, il diritto all’oblio di una persona fisica che ritiene di essere pregiudicata da una notizia che lo riguarda può estrinsecarsi nelle seguenti pretese:
- impedire una nuova divulgazione della notizia pregiudizievole a distanza di un tempo sufficiente a far venir meno l’interesse pubblico;
- pretendere che la notizia pregiudizievole venga contestualizzata con altre notizie, in modo da riportare un quadro completo e veritiero;
- chiedere la de-indicizzazione della notizia non più attuale dai motori di ricerca, quando questa sia pregiudizievole e non sussista un prevalente interesse pubblico a che la notizia permanga.
[1] Cass., 09/04/1998, n. 3679.
[2] C-131/12 del 2014.
[3] Trib. Roma, sent. del 15/05/95.
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